Bando GAL OPERAZIONE 4.2.1 “INVESTIMENTI NELLA TRASFORMAZIONE, COMMERCIALIZZAZIONE E/O SVILUPPO DEI PRODOTTI AGRICOLI"
18/03/2024
Le aziende della provincia di Siena ricadenti nei comuni di:
Abbadia San Salvatore, Asciano, Buonconvento, Castole d'Elsa, Castellina in Chianti, Castelnuovo Berardenga, Castiglione d'Orcia, Cetona, Chiusdino, Gaiole in Chianti, Montalcino, Montepulciano, Monteroni d'Arbia, Monticiano, Murlo, Piancastagnaio, Pienza, Radda in Chianti, Radicofani, San Casciano dei Bagni, San Gimignano, San Quirico d'Orcia, Sarteano, Sovicille, Trequanda.
e nelle zone indicate dal bando dei comuni di:
Chianciano Terme, Rapolano Terme e Torrita di Siena.
Possono presentare domanda per partecipare al bando per accedere al contributo del GAL Leader Siena, consistente in un contributo compreso tra 3.500 e 30.000 € per la realizzazione di investimenti in trasformazione, commercializzazione e/o sviluppo di prodotti agricoli.
Il bando è consultabile QUI.
Abbadia San Salvatore, Asciano, Buonconvento, Castole d'Elsa, Castellina in Chianti, Castelnuovo Berardenga, Castiglione d'Orcia, Cetona, Chiusdino, Gaiole in Chianti, Montalcino, Montepulciano, Monteroni d'Arbia, Monticiano, Murlo, Piancastagnaio, Pienza, Radda in Chianti, Radicofani, San Casciano dei Bagni, San Gimignano, San Quirico d'Orcia, Sarteano, Sovicille, Trequanda.
e nelle zone indicate dal bando dei comuni di:
Chianciano Terme, Rapolano Terme e Torrita di Siena.
Possono presentare domanda per partecipare al bando per accedere al contributo del GAL Leader Siena, consistente in un contributo compreso tra 3.500 e 30.000 € per la realizzazione di investimenti in trasformazione, commercializzazione e/o sviluppo di prodotti agricoli.
Il bando è consultabile QUI.
Scadenza domanda aiuto OCM ristrutturazione e riconversione vigneto
12/04/2023
Le aziende viticole toscane hanno tempo sino al 28 Aprile 2023 per presentare la domanda iniziale di aiuto per l'OCM per la ristrutturazione e riconversione vigneti, che promette contributi fino a 16.000 Euro/ha salvo i particolari casi previsti dal bando.
Il bando è consultabile QUI.
Il bando è consultabile QUI.
Seminario ACQUA E VIGNETO di AIDA 2.0.
05/04/2023
Venerdì 7 Aprile dalle ore 9 alle 13 si terrà su piattaforma Zoom il seminario divulgativo "Acqua e vigneto: gestione agronomica e tecnologie innovative per produzioni di qualità e sostenibili" organizzato da AIDA 2.0.
Il seminario, in cui prenderanno parola esperti del settore, è del tutto gratuito ma richiede l'iscrizione.
Gli interessati sono pregati di contattarmi in privato per avere il link di accesso alla stanza virturale e maggiori informazioni riguardo l'evento.
Il seminario, in cui prenderanno parola esperti del settore, è del tutto gratuito ma richiede l'iscrizione.
Gli interessati sono pregati di contattarmi in privato per avere il link di accesso alla stanza virturale e maggiori informazioni riguardo l'evento.
Nuova 4.1.1 - Agricoltura di precisione
15/12/2022
E' appena uscito il nuovo bando attuativo dell'operazione 4.1.1 del PSR 2022, dedicato al miglioramento della redditività e della competitività delle aziende agricole, stavolta attraverso il finanziamento dell'agricoltura di precisione e digitale con un contributo pari ad almeno il 75% della spesa ammessa.
Scarica il bando: QUI
Link alla pagina PSR della Regione Toscana: QUI.
Scarica il bando: QUI
Link alla pagina PSR della Regione Toscana: QUI.
Nuovi contributi 2022
25/09/2022
Sono attualmente pubblicati sul sito regionale dedicato ai PSR, alcuni bandi interessanti che danno attuazione a diverse misure del PSR, dal pacchetto giovani (scadenza 30/11) al sostegno per consulenze esterne (scadenza prorogata al 30/11), al bando per l'agricoltura sociale (scadenza al 25/10).
Link alla pagina dedicata QUI
Link alla pagina dedicata QUI
INTERVISTA PER RADIO ITALIA 5
15/01/2022
Sono stato contattato da Storytime di Radio Italia 5, un format che si occupa di far conoscere le storie ed i servizi offerti dai professionisti. L'intervista, per esigenze radiofoniche, è durata solo pochi minuti ma non ha mancato di toccare argomenti interessanti.
| intervista_3_min..mp4 |
Il problema del prezzo del grano: un "semplice" gioco di domanda /offerta su scala globale
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Settore: cerealicolo
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data: 30/09/2021
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Link all'intervista di Riccardo Felicetti, presidente dei Pastai dell'Unione italiana food, che descrive la "tempesta perfetta" che sta investendo il settore del grano. Un aumento di prezzo per il consumatore causato dalla più comune delle circostanze macroeconomiche: l'offerta del prodotto è troppo bassa rispetto alla domanda.
https://www.corriere.it/economia/consumi/21_settembre_02/grano-tempesta-perfetta-2021-quotazioni-del-60percento-il-prezzo-pasta-salira-042b4bb2-0b3e-11ec-be34-058dbcbdf289.shtml
Alcuni dati sulla produzione di grano a livello mondiale:
https://www.atlasbig.com/it/paesi-per-produzione-di-grano
https://www.corriere.it/economia/consumi/21_settembre_02/grano-tempesta-perfetta-2021-quotazioni-del-60percento-il-prezzo-pasta-salira-042b4bb2-0b3e-11ec-be34-058dbcbdf289.shtml
Alcuni dati sulla produzione di grano a livello mondiale:
https://www.atlasbig.com/it/paesi-per-produzione-di-grano
Storia del miglioramento genetico della vite
Settore: viticoltura e enologia 30/04/2021
Brevissimo riassunto di poche pagine riguardo le tappe storiche del miglioramento genetico della vite.
Si tratta di un modesto studio privo di pretese ma che ritengo possa essere utile per chiarire molti aspetti biologici e genetici della vite europea che spesso sfuggono alla nostra attenzione.
Cliccando sul bottone sotto riportato è possibile accedere al documento:
Si tratta di un modesto studio privo di pretese ma che ritengo possa essere utile per chiarire molti aspetti biologici e genetici della vite europea che spesso sfuggono alla nostra attenzione.
Cliccando sul bottone sotto riportato è possibile accedere al documento:
Giulio Petri
Dalla Francia il Tartufo Bianco coltivato ?
Settore: tartuficoltura 26/02/2021
Il tartufo bianco (Tuber magnatum) è la specie di tartufo più preziosa e ricercata, sia per le sue caratteristiche organolettiche ma anche perchè diversamente dalle altre specie di tartufo non può essere coltivato artificialmente. Nei vivai non è possibile acquistare piantine garantite micorrizzate con il T.bianco, quindi la sua raccolta è limitata alle aree in cui si sviluppa naturalmente, in particolare in basso Piemonte, Toscana centrale, alta Umbria ma anche in zone specifiche di Lombardia, Marche e Molise.
L' essere un prodotto limitato e dipendente in modo imprescindibile dalla natura è uno dei fattori che contribuisce ad incrementare il prezzo del T. bianco (1.500 - 3.000 €/Kg, fino a 50.000 €/Kg nelle aste)
Gli studi per riuscire a coltivare il T. bianco sono partiti con esperimenti e progetti pilota già dagli anni '80, tuttavia non hanno prodotto mai risultati soddisfacenti. In diversi casi si è riusciti ad arrivare alla raccolta ma senza che questa avesse un senso economico, dal momento che i corpi fruttiferi iniziavano ad avere una pezzatura soddisfacente solo dopo 10 - 15 anni e comunque mantendo un'alta probabilità di non manifestarsi affatto.
Da un paio di settimane si possono leggere numerosi articoli sul fatto che in Francia sarebbero riusciti a coltivare il Tartufo bianco con risultati garantiti. La notizia originale è stata in effetti pubblicata il 16 Febbraio dalla Repubblica Francese che si sbilancia a tal punto da arrivare ad affermare che le piantagioni di T. Bianco realizzate in Francia (INRAE/vivai Robin) sono una primizia mondiale e che saranno la base per diffondere la coltivazione di Tartufo bianco pregiato in tutto il mondo.
https://www.inrae.fr/actualites/production-controlee-truffes-blanches-made-france-premiere-mondiale
L' essere un prodotto limitato e dipendente in modo imprescindibile dalla natura è uno dei fattori che contribuisce ad incrementare il prezzo del T. bianco (1.500 - 3.000 €/Kg, fino a 50.000 €/Kg nelle aste)
Gli studi per riuscire a coltivare il T. bianco sono partiti con esperimenti e progetti pilota già dagli anni '80, tuttavia non hanno prodotto mai risultati soddisfacenti. In diversi casi si è riusciti ad arrivare alla raccolta ma senza che questa avesse un senso economico, dal momento che i corpi fruttiferi iniziavano ad avere una pezzatura soddisfacente solo dopo 10 - 15 anni e comunque mantendo un'alta probabilità di non manifestarsi affatto.
Da un paio di settimane si possono leggere numerosi articoli sul fatto che in Francia sarebbero riusciti a coltivare il Tartufo bianco con risultati garantiti. La notizia originale è stata in effetti pubblicata il 16 Febbraio dalla Repubblica Francese che si sbilancia a tal punto da arrivare ad affermare che le piantagioni di T. Bianco realizzate in Francia (INRAE/vivai Robin) sono una primizia mondiale e che saranno la base per diffondere la coltivazione di Tartufo bianco pregiato in tutto il mondo.
https://www.inrae.fr/actualites/production-controlee-truffes-blanches-made-france-premiere-mondiale
Un nuovo studio sulla stabilità delle popolazioni di api
Settore: apicoltura 09/02/2021
Che gli ultimi anni siano stati difficili le api è un fatto noto, basta parlare con qualunque apicoltore per capire che fra siccità, freddo primaverile e problemi legati all'inquinamento, le produzioni non hanno mai raggiunto i livelli attesi. Negli ultimi 5-6 anni in particolare si è assistito a una vera e propria revisione delle medie produttive di miele per famiglia di api.
A confermare queste "voci" ci hanno pensato diversi studi scientifici provenienti da più parti, l'ultimo in linea temporale è quello pubblicato su One Earth, che mette in guardia portando dati oggettivi e analisi statistica degli stessi. I concetti più importanti che emergono dallo studio sono i seguenti:
- Il numero di specie di api dagli anni Novanta ad oggi è calato. In particolare tra il 2006 e il 2015 sono state trovate il 25 % di specie in meno rispetto a prima del 1990.
- Con l'aumento dei dati raccolti anno per anno, l'incertezza sull'andamento in calo delle popolazioni di api diminuisce. Diventa sempre più improbabile che sia un oscillazione "normale" della popolazione.
A confermare queste "voci" ci hanno pensato diversi studi scientifici provenienti da più parti, l'ultimo in linea temporale è quello pubblicato su One Earth, che mette in guardia portando dati oggettivi e analisi statistica degli stessi. I concetti più importanti che emergono dallo studio sono i seguenti:
- Il numero di specie di api dagli anni Novanta ad oggi è calato. In particolare tra il 2006 e il 2015 sono state trovate il 25 % di specie in meno rispetto a prima del 1990.
- Con l'aumento dei dati raccolti anno per anno, l'incertezza sull'andamento in calo delle popolazioni di api diminuisce. Diventa sempre più improbabile che sia un oscillazione "normale" della popolazione.
Si può aggiungere che in Italia le produzioni medie di miele per famiglia ad oggi sono del 50 - 90 % inferiori rispetto alle medie ponderate basate su dati storici.
Per leggere l'articolo completo pubblicato su One Earth clicca qui:
"Worldwide occurrence records suggest a global decline in bee species richness, Eduardo E.Zattara, Marcelo A.Aizen; 2020"
Giulio Petri
Per leggere l'articolo completo pubblicato su One Earth clicca qui:
"Worldwide occurrence records suggest a global decline in bee species richness, Eduardo E.Zattara, Marcelo A.Aizen; 2020"
Giulio Petri
AGROSTIMAPP TOSCANA
La app che calcola il valore del terreno agricolo!!!
La app che calcola il valore del terreno agricolo!!!
A partire dal 12/11/2020 è scaricabile gratuitamente per Android dal Play Store di Google Play "Agrostimapp-Toscana", l' app che consente di stimare il valore dei terreni agricoli in Toscana.
Ho ideato io stesso questa app per fornire ai protagonisti del settore agricolo uno strumento semplice ma efficace per conoscere il valore di mercato dei terreni. Ovviamente i risultati ottenuti non possono e non vogliono sostituire la stima redatta da un professionista, tuttavia sono certo che potranno risultare utili a molti come indicatori generici del valore di mercato.
La app dispone di un database in cui sono presenti dati in continuo aggiornamento sul valore medio attribuito ai terreni in Toscana, inoltre nella app è presente una funzione di calcolo che, tramite l'utilizzo di formule estimative di capitalizzazione dei redditi ordinari, riesce a restituire un valore di massima del terreno agricolo considerato sulla base di quanto questo potrebbe "rendere" al suo potenziale proprietario.
La app è studiata per essere utilizzata nel minor tempo possibile, in fase di inserimento dati infatti è sufficiente indicare l'ubicazione del terreno d'interesse (Provincia e Comune), la sua estensione (ha o m2) e le colture agricole presenti su di esso, per avere un primo riscontro in valore.
Prima di procedere alla stima viene richiesto all'utente se si intende consultare il database di valori presenti nella app (Valori Agrostimapp) oppure se si preferisce calcolare il valore del terreno tramite la capitalizzazione dei redditi ordinari (Calcola il valore). In quest'ultimo caso la app restituisce un valore all'utente dopo sole 3 - 5 domande a seconda del tipo di coltura indicata.
Premere il tasto di download qui riportato per scaricare la app gratuitamente da PlayStore Google Play!
Ho ideato io stesso questa app per fornire ai protagonisti del settore agricolo uno strumento semplice ma efficace per conoscere il valore di mercato dei terreni. Ovviamente i risultati ottenuti non possono e non vogliono sostituire la stima redatta da un professionista, tuttavia sono certo che potranno risultare utili a molti come indicatori generici del valore di mercato.
La app dispone di un database in cui sono presenti dati in continuo aggiornamento sul valore medio attribuito ai terreni in Toscana, inoltre nella app è presente una funzione di calcolo che, tramite l'utilizzo di formule estimative di capitalizzazione dei redditi ordinari, riesce a restituire un valore di massima del terreno agricolo considerato sulla base di quanto questo potrebbe "rendere" al suo potenziale proprietario.
La app è studiata per essere utilizzata nel minor tempo possibile, in fase di inserimento dati infatti è sufficiente indicare l'ubicazione del terreno d'interesse (Provincia e Comune), la sua estensione (ha o m2) e le colture agricole presenti su di esso, per avere un primo riscontro in valore.
Prima di procedere alla stima viene richiesto all'utente se si intende consultare il database di valori presenti nella app (Valori Agrostimapp) oppure se si preferisce calcolare il valore del terreno tramite la capitalizzazione dei redditi ordinari (Calcola il valore). In quest'ultimo caso la app restituisce un valore all'utente dopo sole 3 - 5 domande a seconda del tipo di coltura indicata.
Premere il tasto di download qui riportato per scaricare la app gratuitamente da PlayStore Google Play!
Giulio Petri
Sovvenzioni per agriturismi e fattorie didattiche!
(P.S.R. Regione Toscana)
(P.S.R. Regione Toscana)
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Settore: contributi comunitari
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13/10/2020
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La Regione Toscana per fare fronte all'eccezionale emergenza dovuta al Covid 19 ha approvato il bando attuativo della misura 21.1.
Il bando, scaricabile qui, mette a disposizione 17.348.000 € per agriturismi e fattorie didattiche della Regione Toscana, purché questi abbiano iniziato l'attività agrituristica prima del 31/01/2020 e rispettino i requisiti richiesti dal diritto comunitario e nazionale (vedi bando). L'entità del sostegno pubblico dipenderà dalle caratteristiche dell'azienda che presenta domanda, modulato sulla base dei seguenti criteri:
Le domande dovranno essere presentate entro le ore 13.00 del 6 Novembre 2020.
Giulio Petri
Il bando, scaricabile qui, mette a disposizione 17.348.000 € per agriturismi e fattorie didattiche della Regione Toscana, purché questi abbiano iniziato l'attività agrituristica prima del 31/01/2020 e rispettino i requisiti richiesti dal diritto comunitario e nazionale (vedi bando). L'entità del sostegno pubblico dipenderà dalle caratteristiche dell'azienda che presenta domanda, modulato sulla base dei seguenti criteri:
- A) Aziende agrituristiche che esercitano tutte le seguenti attività: pernottamento (in camere o unità abitative e/o agricampeggio/agrisosta camper), somministrazione pasti, degustazione e attività sociale e di servizio per le comunità locali e/o fattoria didattica = fino ad un massimo di 7000 euro;
- B) Aziende agrituristiche che esercitano tutte le seguenti attività: pernottamento (in camere o unità abitative e/o agricampeggio/agrisosta camper), somministrazione pasti e degustazione = fino ad un massimo di 5000 euro;
- C) Aziende agrituristiche che esercitano una o due tra le seguenti attività: pernottamento (in camere o unità abitative e/o agricampeggio/agrisosta camper), somministrazione pasti, degustazione = fino ad un massimo di 3000 euro;
- D) Aziende agrituristiche che esercitano la sola attività sociale e di servizio per le comunità locali o aziende agricole/agrituristiche che esercitano la sola attività di fattoria didattica = fino ad un massimo di 2000 euro.
Le domande dovranno essere presentate entro le ore 13.00 del 6 Novembre 2020.
Giulio Petri
Andamento campagna viticola toscana 2020
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Settore: vitivinicolo
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25/07/2020
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La contrazione della richiesta di vino dovuta al lock down italiano sta mettendo in forte dubbio le entrate di cassa dei vignaioli previste per la vendemmia 2020. La crisi in corso mette in evidenza la fragilità di chi vende le proprie uve, mentre chi porta a termine la filiera produttiva può tutto sommato sperare in tempi migliori per commercializzare il vino 2020 e nel frattempo concentrarsi sullo smaltire le rimanenze di magazzino. Al netto di tutto ciò, alla difficoltà di trovare cantine a cui vendere le uve, si somma anche la difficoltà di ottenere uve vendibili...
L'andamento della stagione estiva ha favorito il proliferare dell'Oidio, una malattia fungina che sta compromettendo le produzioni in diverse aree della Toscana. Le frequenti piogge hanno messo in difficoltà soprattutto le aziende biologiche, costrette a rientrare più volte in campo per trattare con zolfo, tuttavia anche chi può far largo uso di prodotti di sintesi di tipo sistemico non è esente da danni.
Bisogna invece ridimensionare o quanto meno razionalizzare l'allarme Fillossera lanciato da più parti. E' innegabile che l'afide da alcuni anni sia tornato a fare qualche danno sulle foglie delle viti e che quest'anno in particolare, ci sia una recrudescenza, tuttavia va anche specificato che siamo ben al di sotto della soglia di danno. I sintomi sono accumulati in punti piuttosto circoscritti dei vigneti e su poche piante, che mostrano le foglie martoriate dalle tipiche galle fillosseriche. L'afide in futuro dovrà essere tenuto sotto controllo più di quanto non sia stato fatto fin ora ma almeno per quest'anno, non è uno dei problemi principali.
Adesso è importante seguire l'evolversi delle malattie e cercare di contrastarle dando contemporaneamente un occhio al bilancio e l'impostazione dei prossimi trattamenti da questo punto di vista sarà fondamentale. Inoltre si consiglia di fare una buona defogliazione per evitare che le ferite causate dall'odio aprano la strada alle muffe, che comprometterebbero definitivamente il raccolto.
Giulio Petri
L'andamento della stagione estiva ha favorito il proliferare dell'Oidio, una malattia fungina che sta compromettendo le produzioni in diverse aree della Toscana. Le frequenti piogge hanno messo in difficoltà soprattutto le aziende biologiche, costrette a rientrare più volte in campo per trattare con zolfo, tuttavia anche chi può far largo uso di prodotti di sintesi di tipo sistemico non è esente da danni.
Bisogna invece ridimensionare o quanto meno razionalizzare l'allarme Fillossera lanciato da più parti. E' innegabile che l'afide da alcuni anni sia tornato a fare qualche danno sulle foglie delle viti e che quest'anno in particolare, ci sia una recrudescenza, tuttavia va anche specificato che siamo ben al di sotto della soglia di danno. I sintomi sono accumulati in punti piuttosto circoscritti dei vigneti e su poche piante, che mostrano le foglie martoriate dalle tipiche galle fillosseriche. L'afide in futuro dovrà essere tenuto sotto controllo più di quanto non sia stato fatto fin ora ma almeno per quest'anno, non è uno dei problemi principali.
Adesso è importante seguire l'evolversi delle malattie e cercare di contrastarle dando contemporaneamente un occhio al bilancio e l'impostazione dei prossimi trattamenti da questo punto di vista sarà fondamentale. Inoltre si consiglia di fare una buona defogliazione per evitare che le ferite causate dall'odio aprano la strada alle muffe, che comprometterebbero definitivamente il raccolto.
Giulio Petri
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Aziende agricole vs Covid-19
02/05/2020
Con questo brevissimo articolo vorrei fungere da piccola cassa di risonanza per le problematiche che ho potuto notare in questi mesi, senza in alcun modo pretendere di avere una panoramica completa della condizione delle aziende agricole. Si tratta né più né meno di considerazioni frutto dell'osservazione da parte di chi scrive della realtà, peraltro limitata, che ha avuto modo di osservare.
Iniziamo col dire che prima dell'attuale della crisi economica legata all'emergenza Coronavirus il settore agroalimentare italiano non se la passava affatto male per quanto riguarda l'export, stando ai dati riportati dal Sole 24 Ore in un articolo di metà Marzo, nel 2019 le esportazioni di derrate alimentari hanno registrato un aumento del 5,3 % in termini di fatturato rispetto all'anno precedente. Va specificato che il risultato è stato frutto di una media fra l'incalzante ascesa di determinati prodotti, come formaggi (lattiero-caseario + 11 %), pasta (+ 7 %) o vino (+3 %), ed una contrazione in certi casi ormai cronica di altri, fra cui purtroppo spicca sempre di più l'olio di oliva (- 8 %); detto ciò per questa volta lasciamo perdere le problematiche del singolo prodotto e concentriamoci sulla possibile evoluzione futura dell'intero settore, adesso che una nuova crisi ha scosso i mercati.
Sin dall'inizio del lockdown il settore agroalimentare è stato oggetto di proroghe ed eccezioni, in particolare è stato chiesto alle aziende agrarie di continuare a produrre in quanto garanti del diritto d'approvvigionamento alimentare dei cittadini. Rispetto ad altri settori è noto che quello agricolo è caratterizzato da una domanda rigida che poco muta in rapporto alle crisi economiche, tuttavia sarebbe erroneo pensare che gli imprenditori agricoli siano automaticamente immuni (per usare un termine in voga) al contraccolpo del mercato.
In primo luogo si deve considerare che l'attuale produzione agroalimentare non genera esclusivamente beni di prima necessità ma si è evoluta nel tempo selezionando i prodotti in grado di garantire i redditi maggiori, abbandonando di conseguenza tutti gli altri in modo più o meno graduale. In secondo luogo va tenuto a mente che sebbene sia certamente vero che un'azienda "ferma" rischia ogni giorno che passa il fallimento, è altrettanto vero che un'azienda costretta a produrre nelle condizioni di oggi deve fare improvvisamente front a nuove difficoltà, ad esempio a costi della manodopera maggiori (nuovi standard igienico e sanitari, scarsità della risorsa) che si riflettono inevitabilmente sui prezzi praticati ai consumatori. Urge ricordare inoltre che il mercato agroalimentare italiano è ormai a tutti gli effetti un mercato di import/export e assolutamente non autarchico; riportando a grandi linee alcuni dati più o meno costanti da alcuni anni, in Italia produciamo rispetto al nostro fabbisogno interno solamente il 35 % di grano tenero, il 50 % di latte, il 75 % di olio di oliva e di carne bovina, allo stesso tempo però eccediamo ai fini dell'export in altri prodotti come spumante (415 % del fabbisogno), pomodoro (230 %) e vino (200%). I prodotti riportati sono solo esemplificativi ma rendono l'idea dell'attuale struttura dell'offerta italiana, che si è sviluppata da tempo per cogliere tutti i vantaggi della globalizzazione. In questi mesi la domanda interna è addirittura aumentata per certi beni, in particolare per farina e pasta, ma mentre le grandi imprese di trasformazione grazie alle importazioni hanno potuto soddisfare immediatamente la nuova richiesta, i produttori agricoli hanno bisogno di più tempo per adattarsi ai mutamenti del mercato, essendo naturalmente frenati dal ritmo biologico delle piante. Si è assistito inoltre ad una migrazione della domanda dal circuito Ho.Re.Ca (hotel, ristoranti, catering) al circuito delle G.D.O. , con conseguente forte danno per quelle aziende che si tenevano distanti dalla vendita ai centri commerciali.
Per quanto concerne le esportazioni gli ordini provenienti da privati di altri paesi in realtà non sono mancati, il vero problema sono state semmai le resistenze alle frontiere praticate verso i nostri prodotti dai governi esteri, peraltro del tutto illogiche ai fini del contenimento della pandemia.
Infine va considerato il capitolo delle così dette attività connesse all'agricoltura, prima su tutte quella dell'accoglienza turistica. Nel giro di poche settimane gli agriturismi al pari degli hotel si sono visti annullare tutte le prenotazioni da qui ai prossimi mesi, se da un lato è vero che diversamente dagli alberghi gli agriturismi debbono poggiare su di un'azienda agricola e che quindi possono contare su fonti differenziate di reddito, si tratta il più delle volte di aziende per le quali l'attività di ricezione clienti è fondamentale per riuscire a fare utile.
Ma cosa si può fare per aiutare le aziende agricole italiane a vincere i problemi elencati ?
A parere di chi scrive il governo potrebbe preoccuparsi di ridurre i costi del lavoro per le aziende facendosi carico di una parte dei così detti costi "extra salario" (TFR, contributi etc...). A livello europeo in questa fase sarebbe auspicabile ridurre al minimo le importazioni per assorbire tutta la domanda interna, con eventuali acquisto delle derrate alimentari in eccesso da parte degli organi statali; questa politica è già stata perpetuata con la PAC degli anni '60 e '70 nell'allora Comunità Economica Europea con pessimi risultati sul lungo periodo, tuttavia potrebbe essere opportuna da applicare in una singola situazione d'emergenza come questa.
Come cittadini dovremmo senza dubbio cercare il più possibile di comprare prodotti italiani e ottenuti con materie prime italiane ma anche, volendo fare uno sforzo ulteriore quando sarà possibile muoversi in libertà, riscoprire la filiera corta e l'acquisto franco azienda, in modo tale da svincolare parzialmente i piccoli produttori dallo schiacciante potere contrattuale delle multinazionali.
Potrei aggiungere altro ma ho promesso di essere breve ed inoltre non spetta a me fornire soluzioni, spero solo di avere elencato i problemi più sentiti da buona parte degli agricoltori. Un saluto ed un in bocca al lupo a tutti
Giulio Petri
Iniziamo col dire che prima dell'attuale della crisi economica legata all'emergenza Coronavirus il settore agroalimentare italiano non se la passava affatto male per quanto riguarda l'export, stando ai dati riportati dal Sole 24 Ore in un articolo di metà Marzo, nel 2019 le esportazioni di derrate alimentari hanno registrato un aumento del 5,3 % in termini di fatturato rispetto all'anno precedente. Va specificato che il risultato è stato frutto di una media fra l'incalzante ascesa di determinati prodotti, come formaggi (lattiero-caseario + 11 %), pasta (+ 7 %) o vino (+3 %), ed una contrazione in certi casi ormai cronica di altri, fra cui purtroppo spicca sempre di più l'olio di oliva (- 8 %); detto ciò per questa volta lasciamo perdere le problematiche del singolo prodotto e concentriamoci sulla possibile evoluzione futura dell'intero settore, adesso che una nuova crisi ha scosso i mercati.
Sin dall'inizio del lockdown il settore agroalimentare è stato oggetto di proroghe ed eccezioni, in particolare è stato chiesto alle aziende agrarie di continuare a produrre in quanto garanti del diritto d'approvvigionamento alimentare dei cittadini. Rispetto ad altri settori è noto che quello agricolo è caratterizzato da una domanda rigida che poco muta in rapporto alle crisi economiche, tuttavia sarebbe erroneo pensare che gli imprenditori agricoli siano automaticamente immuni (per usare un termine in voga) al contraccolpo del mercato.
In primo luogo si deve considerare che l'attuale produzione agroalimentare non genera esclusivamente beni di prima necessità ma si è evoluta nel tempo selezionando i prodotti in grado di garantire i redditi maggiori, abbandonando di conseguenza tutti gli altri in modo più o meno graduale. In secondo luogo va tenuto a mente che sebbene sia certamente vero che un'azienda "ferma" rischia ogni giorno che passa il fallimento, è altrettanto vero che un'azienda costretta a produrre nelle condizioni di oggi deve fare improvvisamente front a nuove difficoltà, ad esempio a costi della manodopera maggiori (nuovi standard igienico e sanitari, scarsità della risorsa) che si riflettono inevitabilmente sui prezzi praticati ai consumatori. Urge ricordare inoltre che il mercato agroalimentare italiano è ormai a tutti gli effetti un mercato di import/export e assolutamente non autarchico; riportando a grandi linee alcuni dati più o meno costanti da alcuni anni, in Italia produciamo rispetto al nostro fabbisogno interno solamente il 35 % di grano tenero, il 50 % di latte, il 75 % di olio di oliva e di carne bovina, allo stesso tempo però eccediamo ai fini dell'export in altri prodotti come spumante (415 % del fabbisogno), pomodoro (230 %) e vino (200%). I prodotti riportati sono solo esemplificativi ma rendono l'idea dell'attuale struttura dell'offerta italiana, che si è sviluppata da tempo per cogliere tutti i vantaggi della globalizzazione. In questi mesi la domanda interna è addirittura aumentata per certi beni, in particolare per farina e pasta, ma mentre le grandi imprese di trasformazione grazie alle importazioni hanno potuto soddisfare immediatamente la nuova richiesta, i produttori agricoli hanno bisogno di più tempo per adattarsi ai mutamenti del mercato, essendo naturalmente frenati dal ritmo biologico delle piante. Si è assistito inoltre ad una migrazione della domanda dal circuito Ho.Re.Ca (hotel, ristoranti, catering) al circuito delle G.D.O. , con conseguente forte danno per quelle aziende che si tenevano distanti dalla vendita ai centri commerciali.
Per quanto concerne le esportazioni gli ordini provenienti da privati di altri paesi in realtà non sono mancati, il vero problema sono state semmai le resistenze alle frontiere praticate verso i nostri prodotti dai governi esteri, peraltro del tutto illogiche ai fini del contenimento della pandemia.
Infine va considerato il capitolo delle così dette attività connesse all'agricoltura, prima su tutte quella dell'accoglienza turistica. Nel giro di poche settimane gli agriturismi al pari degli hotel si sono visti annullare tutte le prenotazioni da qui ai prossimi mesi, se da un lato è vero che diversamente dagli alberghi gli agriturismi debbono poggiare su di un'azienda agricola e che quindi possono contare su fonti differenziate di reddito, si tratta il più delle volte di aziende per le quali l'attività di ricezione clienti è fondamentale per riuscire a fare utile.
Ma cosa si può fare per aiutare le aziende agricole italiane a vincere i problemi elencati ?
A parere di chi scrive il governo potrebbe preoccuparsi di ridurre i costi del lavoro per le aziende facendosi carico di una parte dei così detti costi "extra salario" (TFR, contributi etc...). A livello europeo in questa fase sarebbe auspicabile ridurre al minimo le importazioni per assorbire tutta la domanda interna, con eventuali acquisto delle derrate alimentari in eccesso da parte degli organi statali; questa politica è già stata perpetuata con la PAC degli anni '60 e '70 nell'allora Comunità Economica Europea con pessimi risultati sul lungo periodo, tuttavia potrebbe essere opportuna da applicare in una singola situazione d'emergenza come questa.
Come cittadini dovremmo senza dubbio cercare il più possibile di comprare prodotti italiani e ottenuti con materie prime italiane ma anche, volendo fare uno sforzo ulteriore quando sarà possibile muoversi in libertà, riscoprire la filiera corta e l'acquisto franco azienda, in modo tale da svincolare parzialmente i piccoli produttori dallo schiacciante potere contrattuale delle multinazionali.
Potrei aggiungere altro ma ho promesso di essere breve ed inoltre non spetta a me fornire soluzioni, spero solo di avere elencato i problemi più sentiti da buona parte degli agricoltori. Un saluto ed un in bocca al lupo a tutti
Giulio Petri
Comunicazione inerente emergenza Covid-19
15/03/2020
In ottemperanza alle ultimi D.P.C.M. riguardanti l'emergenza Covid-19, l' attività resterà aperta a sostegno delle aziende del settore primario. Sono rintracciabile a tutti i contatti qui indicati e in caso di necessità sono disponibile ad effettuare sopralluoghi. Si raccomanda in questo periodo di emergenza di sfruttare per quanto possibile la consulenza a distanza.
Come visibile dall'apposito sito della Regione Toscana tutti i bandi in scadenza sono stati prorogati.
Nella speranza che la situazione possa normalizzarsi al più presto, invio un caldo saluto a tutti.
Giulio Petri
Come visibile dall'apposito sito della Regione Toscana tutti i bandi in scadenza sono stati prorogati.
Nella speranza che la situazione possa normalizzarsi al più presto, invio un caldo saluto a tutti.
Giulio Petri
P.S.R. Pacchetto Giovani
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Contributi comunitari
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11/02/2020
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La Regione Toscana con decreto dirigenziale n. 21112 del 19 dicembre 2019 ha approvato il bando "Aiuto all'avviamento di imprese per giovani agricoltori. Pacchetto giovani annualità 2019", cofinanziato dal Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (Feasr) 2014-2020.
Il Bando è rivolto a tutti i giovani imprenditori con età compresa fra i 18 e i 40 anni e che al momento della presentazione della domanda iniziale abbiano aperto la partita iva come azienda agricola da non più di 24 mesi. Deve essere redatto un piano di sviluppo aziendale in cui come requisito minimo l'imprenditore si impegna a divenire I.A.P. ed agricoltore attivo, oltre a far raggiungere alla propria azienda i requisiti minimi previsti dal bando (es. standard output).
Il Bando è stato presentato con una buona pubblicizzazione da parte degli enti competenti, pertanto sono già molte le aziende che hanno deciso di aderirvi. Oltre a riportare allegato al presente articolo l'intero testo del bando (link in blu di cui sopra), proverò a fare una breve analisi di massima dello stesso rispondendo alle domande più frequenti.
1. Cosa è il pacchetto giovani ?
Per farla più semplice possibile, l'Unione Europea cerca di sostenere il settore agricolo attraverso lo stanziamento di fondi pubblici d'investimento, da elargire alle aziende agricole presenti negli stati membri. Ad alcuni contributi le aziende hanno diritto di accedere solo per il fatto di condurre il fondo rustico (es. PAC), mentre altri vengono concessi solo a quelle aziende che effettuano un certo tipo di investimento (Piani di sviluppo rurale "PSR"). Il pacchetto giovani appartiene a questa seconda categoria di contributi, si tratta infatti di una delle tante sottomisure del PSR che cerca di promuovere l'insediamento di giovani agricoltori. Ovviamente l'U.E. non cerca solo di sostenere il settore agricolo ma anche di orientare il mercato, dando marcata priorità a quegli investimenti che secondo le previsioni macroeconomiche saranno utili al consolidamento internazionale del mercato unico europeo. A ciascuna azienda che abbia i requisiti minimi richiesti dal bando è consentito presentare la domanda iniziale per l'accesso al contributo del Paccehtto Giovani, viene assegnato un punteggio ai partecipanti in funzione delle caratteristiche aziendali e degli interventi programmati e viene quindi stilata una graduatoria. Chi non rientra in questa graduatoria, salvo scorrimenti dovuti ad avanzi/migrazioni di denaro da altre sottomisure PSR, non potrà accedere al contributo (punteggio troppo basso). Il contributo elargito dal pacchetto giovani ai vincitori del bando è costituito da un premio di insediamento di 30.000 € (40.000 per Zone Montane) e da un risarcimento pari al 50 % (60 % per Zone Montane) della spesa sostenuta per la realizzazione degli investimenti. Per poter accedere al contributo ogni partecipante deve prevedere una spesa di almeno 50.000 €. La gestione del bando è affidata alla Regione.
2. Cosa devo fare per presentare la domanda iniziale ?
Un tecnico incaricato deve presentare un Piano Aziendale sul sistema informatico ARTEA, in cui vengono spiegati gli investimenti previsti e la loro consistenza, nonché la situazione aziendale attuale e prospettica da un punto di vista organizzativo e contabile. Inoltre il tecnico deve presentare un preventivo di spesa tramite redazione di computo metrico estimativo od il caricamento di preventivi emanati dai fornitori aziendali.
e spese tecniche possono essere richieste a contributo.
Per presentare la domanda iniziale devono comunque essere soddisfatti i requisiti minimi richiesti dal bando.
La domanda iniziale può essere presentata entro e non oltre il 16 Marzo 2020.
3. E' facile accedere al contributo ?
Nel caso specifico del pacchetto giovani... no.
Per il modo in cui è concepito il bando è molto difficile ottenere un punteggio elevato. Il bando riserva buona parte del punteggio a chi effettua investimenti di natura ambientale (rimozione amianti), di contrasto al cambiamento climatico (risparmio energetico, migliorie all'isolamento termico degli edifici, gestione della risorsa idrica, energie rinnovabili), riguardo la sicurezza sui luoghi di lavoro. Per quanto concerne i settori d'intervento vengono premiati investimenti nel settore zootecnico, ortofrutticolo ed in parte cerealicolo. Infine una parte del punteggio è legata all'ubicazione aziendale (Zone Montane - Zone svantaggiate) ed un punto è assegnato di default all'imprenditore di genere femminile. Il massimo punteggio raggiungibile è di 42 punti, il punteggio minimo per poter presentare la domanda iniziale è di 7 punti, l'azienda media raggiunge un punteggio fra 10 e 20 punti.
Il rovescio della medaglia positivo è che veramente in pochi arriveranno a punteggio pieno e quindi probabilmente saranno finanziate molte aziende con punteggio medio-basso.
4. Se la mia azienda risulta fra quelle che possono accedere al contributo cosa devo fare prima di avere i soldi?
Se un'azienda risulta fra i vincitori del bando riceve una prima rata del premio di insediamento, pari al 70% dello stesso, al momento dell'emanazione del contratto di assegnazione del contributo. La seconda rata di saldo del premio di insediamento ed il resto del contributo (50 % delle spese rendicontate), saranno concessi solo a termine degli investimenti e dell'istruttoria di saldo. L'azienda può iniziare a realizzare gli interventi previsti subito dopo la presentazione della domanda iniziale ed ha 36 mesi di tempo per concluderli.
5. Quindi provare ad accedere al pacchetto giovani conviene ?
Se si hanno già in programma degli investimenti consistenti da effettuare vale sicuramente la pena provare, con la consapevolezza che accedere al contributo non è una cosa semplice e valutando sempre il punteggio che si può raggiungere.
Giulio Petri
Il Bando è rivolto a tutti i giovani imprenditori con età compresa fra i 18 e i 40 anni e che al momento della presentazione della domanda iniziale abbiano aperto la partita iva come azienda agricola da non più di 24 mesi. Deve essere redatto un piano di sviluppo aziendale in cui come requisito minimo l'imprenditore si impegna a divenire I.A.P. ed agricoltore attivo, oltre a far raggiungere alla propria azienda i requisiti minimi previsti dal bando (es. standard output).
Il Bando è stato presentato con una buona pubblicizzazione da parte degli enti competenti, pertanto sono già molte le aziende che hanno deciso di aderirvi. Oltre a riportare allegato al presente articolo l'intero testo del bando (link in blu di cui sopra), proverò a fare una breve analisi di massima dello stesso rispondendo alle domande più frequenti.
1. Cosa è il pacchetto giovani ?
Per farla più semplice possibile, l'Unione Europea cerca di sostenere il settore agricolo attraverso lo stanziamento di fondi pubblici d'investimento, da elargire alle aziende agricole presenti negli stati membri. Ad alcuni contributi le aziende hanno diritto di accedere solo per il fatto di condurre il fondo rustico (es. PAC), mentre altri vengono concessi solo a quelle aziende che effettuano un certo tipo di investimento (Piani di sviluppo rurale "PSR"). Il pacchetto giovani appartiene a questa seconda categoria di contributi, si tratta infatti di una delle tante sottomisure del PSR che cerca di promuovere l'insediamento di giovani agricoltori. Ovviamente l'U.E. non cerca solo di sostenere il settore agricolo ma anche di orientare il mercato, dando marcata priorità a quegli investimenti che secondo le previsioni macroeconomiche saranno utili al consolidamento internazionale del mercato unico europeo. A ciascuna azienda che abbia i requisiti minimi richiesti dal bando è consentito presentare la domanda iniziale per l'accesso al contributo del Paccehtto Giovani, viene assegnato un punteggio ai partecipanti in funzione delle caratteristiche aziendali e degli interventi programmati e viene quindi stilata una graduatoria. Chi non rientra in questa graduatoria, salvo scorrimenti dovuti ad avanzi/migrazioni di denaro da altre sottomisure PSR, non potrà accedere al contributo (punteggio troppo basso). Il contributo elargito dal pacchetto giovani ai vincitori del bando è costituito da un premio di insediamento di 30.000 € (40.000 per Zone Montane) e da un risarcimento pari al 50 % (60 % per Zone Montane) della spesa sostenuta per la realizzazione degli investimenti. Per poter accedere al contributo ogni partecipante deve prevedere una spesa di almeno 50.000 €. La gestione del bando è affidata alla Regione.
2. Cosa devo fare per presentare la domanda iniziale ?
Un tecnico incaricato deve presentare un Piano Aziendale sul sistema informatico ARTEA, in cui vengono spiegati gli investimenti previsti e la loro consistenza, nonché la situazione aziendale attuale e prospettica da un punto di vista organizzativo e contabile. Inoltre il tecnico deve presentare un preventivo di spesa tramite redazione di computo metrico estimativo od il caricamento di preventivi emanati dai fornitori aziendali.
e spese tecniche possono essere richieste a contributo.
Per presentare la domanda iniziale devono comunque essere soddisfatti i requisiti minimi richiesti dal bando.
La domanda iniziale può essere presentata entro e non oltre il 16 Marzo 2020.
3. E' facile accedere al contributo ?
Nel caso specifico del pacchetto giovani... no.
Per il modo in cui è concepito il bando è molto difficile ottenere un punteggio elevato. Il bando riserva buona parte del punteggio a chi effettua investimenti di natura ambientale (rimozione amianti), di contrasto al cambiamento climatico (risparmio energetico, migliorie all'isolamento termico degli edifici, gestione della risorsa idrica, energie rinnovabili), riguardo la sicurezza sui luoghi di lavoro. Per quanto concerne i settori d'intervento vengono premiati investimenti nel settore zootecnico, ortofrutticolo ed in parte cerealicolo. Infine una parte del punteggio è legata all'ubicazione aziendale (Zone Montane - Zone svantaggiate) ed un punto è assegnato di default all'imprenditore di genere femminile. Il massimo punteggio raggiungibile è di 42 punti, il punteggio minimo per poter presentare la domanda iniziale è di 7 punti, l'azienda media raggiunge un punteggio fra 10 e 20 punti.
Il rovescio della medaglia positivo è che veramente in pochi arriveranno a punteggio pieno e quindi probabilmente saranno finanziate molte aziende con punteggio medio-basso.
4. Se la mia azienda risulta fra quelle che possono accedere al contributo cosa devo fare prima di avere i soldi?
Se un'azienda risulta fra i vincitori del bando riceve una prima rata del premio di insediamento, pari al 70% dello stesso, al momento dell'emanazione del contratto di assegnazione del contributo. La seconda rata di saldo del premio di insediamento ed il resto del contributo (50 % delle spese rendicontate), saranno concessi solo a termine degli investimenti e dell'istruttoria di saldo. L'azienda può iniziare a realizzare gli interventi previsti subito dopo la presentazione della domanda iniziale ed ha 36 mesi di tempo per concluderli.
5. Quindi provare ad accedere al pacchetto giovani conviene ?
Se si hanno già in programma degli investimenti consistenti da effettuare vale sicuramente la pena provare, con la consapevolezza che accedere al contributo non è una cosa semplice e valutando sempre il punteggio che si può raggiungere.
Giulio Petri
Considerazioni sulla condizione dell'olivicoltura toscana
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Settore: Olivicolo-oleario
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08/12/2019
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Gli oliveti sono da tempo immemore parte integrante del paesaggio toscano e sono storicamente riconosciuti fra le colture agricole di pregio. Da alcuni anni l'olivicoltura toscana è entrata in una profonda crisi, in particolare a partire dal 2014 in poi. Una serie di annate climaticamente sfavorevoli unite a difetti strutturali del settore, hanno fatto sì che si sia innescato un processo di graduale abbandono degli olivi che rischia di far mutare il drasticamente l'aspetto delle nostre colline nei prossimi anni. La maggior parte degli oliveti sono rappresentati vecchi impianti estensivi, con età superiore anche ai 50 anni ed ubicati in aree marginali non meccanizzabili. La situazione è nota ai più e denunciata da molti ma fin ora non si sono apprezzate iniziative degne di nota per invertire il processo di abbandono. La così detta responsabilità paesaggistica invocata da molti Comuni non fermerà certo gli imprenditori e anche le leggi che tentano di limitare gli espianti degli olivi non sono un deterrente efficace, provocando solo l'abbandono dell'area agricola anziché il cambio di destinazione colturale. Il prezzo dell'olio ad un certo punto della storia ha cessato di crescere in modo proporzionale ai costi ed il mercato sembra rigettare prodotti che provano a posizionarsi al di sopra dei valori medi. Ci sarebbe infine da affrontare la questione delle frodi commerciali, visto che in questi anni di scarsa produzione gli scaffali dei supermercati hanno continuato ad essere stracolmi di olio toscano di nuovo raccolto...
Una possibile strada per far ripartire l'olivicoltura potrebbe essere quella di aumentare le rese ad ettaro e rendere completamente meccanizzabile la raccolta tramite la realizzazione d'impianti super-intensivi. Si tratterebbe all'atto pratico di impiantare gli olivi con sesti d'impianto particolarmente contenuti e di nanizzare le piante agevolando ogni operazione colturale, in modo tale da sfruttare al meglio le superfici e ridurre i costi. L'ostacolo principale agli oliveti super-intensivi in Toscana risiede nelle cultivars utilizzate, troppo vigorose ed inadatte a crescere ravvicinate perché "l'olivo ha bisogno d'aria". Si potrebbero utilizzare varietà spagnole od altre medio orientali ma sacrificare per sempre l'olio pregiato e caratteristico del Frantoio, del Leccino, del Moraiolo etc..., rilegandolo a piccole produzioni domestiche, sarebbe oggettivamente un prezzo troppo alto da pagare.
Un'altra strategia potrebbe essere quella dell'aumento dei prezzi di vendita per certe tipologie di olio, una strada considerata da molti troppo difficile da percorrere perché si tratterebbe di rieducare il consumatore alla percezione della qualità per un prodotto che ad oggi non lo attrae. Va detto che il settore del vino è stato salvato ed è divenuto quello che è oggi perché in epoche diverse in Francia e poi in Italia alcuni produttori e venditori ha smesso di cercare di proporre il numero maggiore possibile di commodities e hanno cercato di alzare il prezzo a bottiglia aumentando la qualità (che sia reale o solo percepita). Vero è che si tratta di prodotti diversi ma con le giuste azioni di marketing e naturalmente con l'impegno delle aziende olivicole olearie più rilevanti, si potrebbe tentare di far nascere nel consumatore la volontà di compare "l'olio bono". Le azioni pubblicitarie che tentano di fare percepire l'olio come un alimento e non come un condimento per aumentare le quantità acquistate, sono dal punto di vista di chi scrive completamente errate concettualmente, visto che gli ultimi 300 anni di economia ci insegnano che i beni alimentari che riescono a spuntare i margini maggiori sono quelli dal consumo saltuario e che si mangiano per il gusto di farlo, non quelli di prima necessità.
Si potrebbero in ogni caso realizzare impianti super intensivi con varietà straniere lasciando però superfici da dedicare agli oliveti classici con varietà nostrane, producendo così dichiaratamente due tipi d'olio.
Comunque la si veda l'importante sarebbe iniziare a fare qualcosa di concreto perché fino ad oggi purtroppo quasi nessuno si è realmente mosso con marcato impegno in una direzione o nell'altra.
Giulio Petri
Una possibile strada per far ripartire l'olivicoltura potrebbe essere quella di aumentare le rese ad ettaro e rendere completamente meccanizzabile la raccolta tramite la realizzazione d'impianti super-intensivi. Si tratterebbe all'atto pratico di impiantare gli olivi con sesti d'impianto particolarmente contenuti e di nanizzare le piante agevolando ogni operazione colturale, in modo tale da sfruttare al meglio le superfici e ridurre i costi. L'ostacolo principale agli oliveti super-intensivi in Toscana risiede nelle cultivars utilizzate, troppo vigorose ed inadatte a crescere ravvicinate perché "l'olivo ha bisogno d'aria". Si potrebbero utilizzare varietà spagnole od altre medio orientali ma sacrificare per sempre l'olio pregiato e caratteristico del Frantoio, del Leccino, del Moraiolo etc..., rilegandolo a piccole produzioni domestiche, sarebbe oggettivamente un prezzo troppo alto da pagare.
Un'altra strategia potrebbe essere quella dell'aumento dei prezzi di vendita per certe tipologie di olio, una strada considerata da molti troppo difficile da percorrere perché si tratterebbe di rieducare il consumatore alla percezione della qualità per un prodotto che ad oggi non lo attrae. Va detto che il settore del vino è stato salvato ed è divenuto quello che è oggi perché in epoche diverse in Francia e poi in Italia alcuni produttori e venditori ha smesso di cercare di proporre il numero maggiore possibile di commodities e hanno cercato di alzare il prezzo a bottiglia aumentando la qualità (che sia reale o solo percepita). Vero è che si tratta di prodotti diversi ma con le giuste azioni di marketing e naturalmente con l'impegno delle aziende olivicole olearie più rilevanti, si potrebbe tentare di far nascere nel consumatore la volontà di compare "l'olio bono". Le azioni pubblicitarie che tentano di fare percepire l'olio come un alimento e non come un condimento per aumentare le quantità acquistate, sono dal punto di vista di chi scrive completamente errate concettualmente, visto che gli ultimi 300 anni di economia ci insegnano che i beni alimentari che riescono a spuntare i margini maggiori sono quelli dal consumo saltuario e che si mangiano per il gusto di farlo, non quelli di prima necessità.
Si potrebbero in ogni caso realizzare impianti super intensivi con varietà straniere lasciando però superfici da dedicare agli oliveti classici con varietà nostrane, producendo così dichiaratamente due tipi d'olio.
Comunque la si veda l'importante sarebbe iniziare a fare qualcosa di concreto perché fino ad oggi purtroppo quasi nessuno si è realmente mosso con marcato impegno in una direzione o nell'altra.
Giulio Petri
Indagine di Nomisma per il settore ortofrutta: consumatori in trasformazione, le aziende leggano il momento.
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Settore: Orto-frutta e GDO
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27/10/2019
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In occasione del Business event for expert organizzato da Nuhmens, la società di ricerca economica Nomisma ha reso noti i risultati del suo ultimo studio sulle tendenze del settore orto-frutticolo.
Premessa:
A dispetto di quanto si possa pensare l'ortofrutta è uno dei business principali dell'agricoltura, con un offerta in crescita sempre più strutturata che deve fare i conti con una domanda ogni anno più esigente. Il consumo di verdure in particolare, dopo il calo che ha caratterizzato i decenni successivi alla II Guerra Mondiale, è ormai da diverso tempo in aumento in tutta Europa a causa dell'accresciuta consapevolezza fra i cittadini degli aspetti salutistici di questi alimenti. Nel corso degli anni tuttavia è cambiata anche la tipologia di prodotti scelti dai consumatori, essendo aumentato il valore attribuito alla qualità, alla sostenibilità e alla semplicità degli alimenti, mentre risulta meno importante che in passato il prezzo. Grazie anche alla dieta mediterranea il consumo di frutta e verdure in Italia è tra i più alti in Europa, tuttavia in pochi raggiungono le dosi giornaliere consigliate dalla medicina. Oggi la strada che sembra prospettarsi per le aziende è quella di incrementare la qualità dei prodotti al fine di aumentare anche le quantità vendute, in quanto da diverse ricerche emerge che se frutta e verdura fossero più gustose e riuscissero a portarsi dietro tutta una serie di valori aggiunti (agricolturea eco-friendly, sanità etc...), probabilmente ne consumeremmo di più.
Ma andiamo adesso a vedere i risultati di Nomisma:
è stata realizzata una ricerca di mercato tramite l' intervista di un campione considerevole e rappresentativo di consumatori, che dovrebbero rispecchiare gli italiani. Numerose sono le conclusioni tratte da Nomisma riguardo ai modi di comprare, i luoghi preferiti ed i gusti degli italiani, tanto che sarebbe impossibile riassumerle in uno spazio così ristretto. Mi voglio soffermare piuttosto su di una curiosa classificazione dei consumatori che è stata fatta dopo avere elaborato i risultati delle interviste. Secondo chi ha realizzato lo studio la platea di consumatori è suddivisibile in 5 macro-categorie:
i curiosi (16% del campione): di sovente cavalcano le mode in fatto alimentare ma sono di fatto sperimentatori, informati e digitalizzati. Sono attenti alla sostenibilità e utilizzano le nuove tecnologie per ricercare informazioni.
i concreti (20% del campione): devono coniugare tempo limitato, budget familiare ridotto e scelte salutari per i figli. Sono le madri e i padri di famiglia che abitano nelle piccole città e hanno redditi medio-bassi; per loro il prezzo è ancora l'elemento più importate.
gli edonisti (19% del campione): sono i consumatori con redditi alti, che amano sperimentare e sono alla ricerca dell'ultima moda. Sono in prevalenza coppie senza figli, fan dei programmi culinari in tv e che abitano per lo più nel Nord Italia. Rispetto a "i curiosi" sono più alla ricerca della qualità assoluta ma sono meno sensibili ed informati.
i maturi (28% del campione): appartengono alla generazione dei Baby-boomers (1945 - 1959), hanno figli ormai grandi e curano molto l'aspetto salutistico del cibo. Anche se apprezzano prodotti sostenibili ed hanno una capacità di spesa alta, non riescono a dare un valore a tutti i marchi e alle info presenti sulle etichette alimentari.
gli acerbi (17% del campione): sono ragazzi che hanno ancora scarsa conoscenza dei prodotti alimentari, molto attenti al prezzo e poco curiosi. Sono iper-digitalizzati, ma non usano i nuovi mezzi per informarsi in materia di cibo.
Conclusioni:
le aziende ormai anche nel settore ortofrutticolo devono riuscire a leggere gli andamenti di mercato e comprendere a fondo i consumatori ai quali si rivolgono. Secondo i risultati presentati da Nomisma incrementando qualità, stagionalità, sostenibilità per l'ambiente e per i produttori, si andrebbe incontro alle necessità del 35 - 60 % dei consumatori, fermo restando però che una grande fetta dei consumatori italiani sono sessantenni e settantenni, pertanto è importante adottare linguaggi semplici ed efficaci. Si contrappone tuttavia una parte di consumatori ancora fortemente legati al prezzo e che ignorano consapevolmente la qualità assoluta ed i messaggi delle etichette; questi devono essere il più possibile monitorati in quanto possono facilmente moltiplicarsi di numero in conseguenza a lievitazioni del costo della vita.
GIULIO PETRI
Chianti DOCG: aumenta il limite zuccherino per abbracciare i gusti esteri.
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Settore: Viticoltura e enologia
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18/09/2019
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Chiariamo fin da subito che il Chianti è e resterà un vino secco, tuttavia, a partire dalla vendemmia del 2019 si allineerà con le normative comunitarie, che prevedono limiti di residuo zuccherino un po' più alti rispetto a quelli fino ad oggi permessi nel vino rosso più famoso d'Italia. Nello specifico il limite massimo consentito di zucchero sarà di 4 g/L, oppure 9 g/L a patto che il tenore di acidità totale (grammi di acido tartarico per litro) non sia inferiore di oltre 2 grammi rispetto al tenore di zucchero residuo. E' stato immediatamente spiegato da più parti che la modifica al disciplinare di produzione, che peraltro specifichiamo riguarderà esclusivamente la D.O.P. (o D.O.C.G.) del Chianti non quella del Chianti Classico (il gallo nero per intendersi), è stata acconsentita dal consorzio di tutela anche in seguito alle molte richieste avanzate da una parte dei produttori, che dopo anni di esportazioni hanno capito che il vino rosso duro e puro, austero e dalla forte persistenza al palato, in certe aree del mondo non fa proprio presa sul consumatore. E' il caso ad esempio dei "nuovi" mercati orientali, Cina in testa, dove la popolazione non è ancora "educata" a determinati sapori ma anche degli Stati Uniti, che hanno sempre mostrato di preferire vini amabili e semplici a quelli strutturati, basti pensare che inizialmente siamo riusciti a fare breccia dei loro cuori soltanto grazie al Lambrusco.
A queste considerazioni si aggiunge il fatto che anche i gusti degli Europei stanno cambiando, varie ricerche di mercato infatti, mostrano che l'epoca dei vini invecchiati in legno a tutti i costi è ormai giunta al termine e che il consumatore di domani apprezzerà soprattutto vini dal gusto naturale ed il meno alterato possibile.
Il Chianti per conquistare più ammiratori, punta quindi a diventare un vino più facile e a non restare un mito incompreso a molti, come è accaduto per molti anni.
In definitiva nulla di che, non c'è niente di epocale ciò che sta accadendo, i disciplinari di produzione dei vini ed in particolare quello del Chianti, sono sempre stati mutevoli nel corso degli anni, proprio perché mutevoli sono i gusti dei consumatori e di conseguenza i mercati.
Giulio Petri
A queste considerazioni si aggiunge il fatto che anche i gusti degli Europei stanno cambiando, varie ricerche di mercato infatti, mostrano che l'epoca dei vini invecchiati in legno a tutti i costi è ormai giunta al termine e che il consumatore di domani apprezzerà soprattutto vini dal gusto naturale ed il meno alterato possibile.
Il Chianti per conquistare più ammiratori, punta quindi a diventare un vino più facile e a non restare un mito incompreso a molti, come è accaduto per molti anni.
In definitiva nulla di che, non c'è niente di epocale ciò che sta accadendo, i disciplinari di produzione dei vini ed in particolare quello del Chianti, sono sempre stati mutevoli nel corso degli anni, proprio perché mutevoli sono i gusti dei consumatori e di conseguenza i mercati.
Giulio Petri
Breve disamina sulla tendenza a coltivare grano in Italia
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Settore: cerealicolo
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09/07/2019
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Qualche giorno fa in occasione della Giornata del grano italiano, la Coldiretti ha lanciato un allarme riguardo la drastica diminuzione delle superficie coltivate a frumento nel nostro paese e della necessità di cambiare rotta, anche per ridurre le importazioni da paesi esteri. La notizia è stata riportata anche da Repubblica, in un bell'articolo che potete trovare qua: https://www.repubblica.it/ambiente/2019/07/06/news/agricoltura_in_crisi_in_10_anni_-20_superfici_coltivate-230493544/ . L'articolo si sofferma particolarmente sul fatto che nell'ultimo decennio c'è stato una riduzione delle superfici a frumento del 20% circa, con conseguenti effetti negativi sull'occupazione, sull'economia interna, nonché sul patrimonio paesaggistico; Inoltre, dice Coldiretti, è in costante aumento il grano duro importato dal Canada, già da tempo primo fornitore dell'Italia e malvisto da buona parte dei consumatori per l'utilizzo molto libertino del Glifosate in preraccolta.
Il calo delle superfici a frumento tuttavia non è improvviso e non è circoscritto all'ultimo decennio ma è assolutamente in linea con una tendenza negativa che, nel nostro paese così come in quasi tutta Europa, è iniziata a partire dagli anni Quaranta del Novecento. In generale, l'arrivo in agricoltura di nuove tecnologie e l'accrescersi dei mezzi meccanici a disposizione delle aziende, ha permesso nel giro di mezzo secolo di incrementare (raddoppiare) le rese per ettaro e di ridurre la superficie investita a frumento e ad altri cereali, per sostituirli con colture più redditizie. Il problema del reparto cerealicolo è sempre stato quello dello scarsa redditività per ettaro delle colture, dovuta ad una serie di fattori:
- alto rischio legato all'aleatorietà climatica che in un solo giorno può compromettere un'intera stagione;
- bassi margini per ettaro, necessità di fare economie di scala su superfici vaste;
- accumulo del valore aggiunto dei prodotti al termine della filiera e pochissime possibilità per l'agricoltore di riuscire a raggiungere il consumatore finale con prodotti trasformati.
Ma oggi chi è che continua a produrre grano in Italia ? Generalmente chi ha grandi superfici particolarmente vocate, oppure, chi riesce a dare al prodotto un valore aggiunto sfruttando le tendenze di quest'epoca, ad esempio facendo grano biologico, integrale, di varietà antiche od altamente digeribili. In generale, in Italia si sono ridotti gli ettari di grano ma è aumentato il valore in Euro delle produzioni, in pratica, il nostro paese importa grandi quantità di grano per le masse e al tempo stesso produce grano di qualità solo per quella fetta di consumatori che la ricercano.
E se il mercato di colpo cambiasse? Se Canada e Ucraina, che sono i paesi dai quali importiamo più grano, all'improvviso non fossero più disponibili a fare affari con noi, in che modo l'Italia potrebbe soddisfare le esigenze di paste e farine ? Probabilmente si assisterebbe ad un impennata improvvisa dei prezzi, destinata a perdurare per mesi, prima di tornare, dietro importanti azioni politiche e mediatiche, alla coltivazione italica del frumento.
Giulio Petri
Il calo delle superfici a frumento tuttavia non è improvviso e non è circoscritto all'ultimo decennio ma è assolutamente in linea con una tendenza negativa che, nel nostro paese così come in quasi tutta Europa, è iniziata a partire dagli anni Quaranta del Novecento. In generale, l'arrivo in agricoltura di nuove tecnologie e l'accrescersi dei mezzi meccanici a disposizione delle aziende, ha permesso nel giro di mezzo secolo di incrementare (raddoppiare) le rese per ettaro e di ridurre la superficie investita a frumento e ad altri cereali, per sostituirli con colture più redditizie. Il problema del reparto cerealicolo è sempre stato quello dello scarsa redditività per ettaro delle colture, dovuta ad una serie di fattori:
- alto rischio legato all'aleatorietà climatica che in un solo giorno può compromettere un'intera stagione;
- bassi margini per ettaro, necessità di fare economie di scala su superfici vaste;
- accumulo del valore aggiunto dei prodotti al termine della filiera e pochissime possibilità per l'agricoltore di riuscire a raggiungere il consumatore finale con prodotti trasformati.
Ma oggi chi è che continua a produrre grano in Italia ? Generalmente chi ha grandi superfici particolarmente vocate, oppure, chi riesce a dare al prodotto un valore aggiunto sfruttando le tendenze di quest'epoca, ad esempio facendo grano biologico, integrale, di varietà antiche od altamente digeribili. In generale, in Italia si sono ridotti gli ettari di grano ma è aumentato il valore in Euro delle produzioni, in pratica, il nostro paese importa grandi quantità di grano per le masse e al tempo stesso produce grano di qualità solo per quella fetta di consumatori che la ricercano.
E se il mercato di colpo cambiasse? Se Canada e Ucraina, che sono i paesi dai quali importiamo più grano, all'improvviso non fossero più disponibili a fare affari con noi, in che modo l'Italia potrebbe soddisfare le esigenze di paste e farine ? Probabilmente si assisterebbe ad un impennata improvvisa dei prezzi, destinata a perdurare per mesi, prima di tornare, dietro importanti azioni politiche e mediatiche, alla coltivazione italica del frumento.
Giulio Petri
Analisi Primavera 2019: cosa aspettarsi dalle campagne.
01/06/2019
Abbiamo appena superato l'ennesima stagione "anomala" da un punto di vista climatologico e anche se siamo ormai abituati all'alternanza di annate totalmente diverse, il problema dell'agricoltura resta quello di prendere atto di ciò che accade per prevedere come reagiranno gli organismi viventi (piante e animali) agli input naturali. Vediamo quindi, senza scendere troppo nel dettaglio, di fare una panoramica della situazione attuale e delle prospettive che vanno delineandosi per la prossima stagione.
In Toscana e in tutto il Centro-Nord abbiamo avuto un inizio anno asciutto, seguito da una Primavera decisamente piovosa ed umida che con i mesi di Aprile e soprattutto di Maggio ha portato precipitazioni costanti e di alta intensità, tant'è che per la prima volta dopo 7 anni ci presentiamo alle porte dell'Estate con riserve idriche sopra la media e ghiacciai e nevai di tutta Europa che godono di ottima salute. Diciamo subito che le buone notizie probabilmente finiscono qui, perché da un punto di vista prettamente agricolo la stagione appena trascorsa ha già causato danni ed avrà probabilmente effetti negatvi sulle produzioni da qui a fine anno.
Viticoltura: le aziende viticole biologiche sono state costrette a far gravare in bilancio numerosi trattamenti in campo a causa del continuo dilavamento dei prodotti a base di rame, non riuscendo in molti casi a garantire una copertura costante per tutto il mese di Maggio, che è stato praticamente perfetto per la Peronospora. Per fare previsioni riguardo al vino che deriverà della vendemmia 2019 è ancora presto, in quanto la qualità dipenderà molto dall'andamento estivo, che condizionerà il contenuto zuccherino ed aromatico, nonché lo stato sanitario delle uve (attacchi Gn. Botrytis). E' altrettanto azzardato fare allarmismi, molti paragonano già la prossima vendemmia a quella del 2014, anno sinonimo di sotto-prezzo per quanto riguarda i Chianti e diversi Super-Tuscans; per adesso non ci sono affinità climatiche così significative tra le due annate, dal momento che mentre cinque anni fa ad una Primavera tiepida seguì un'Estate piovosa e decisamente sotto la media da un punto di vista termico, oggi abbiamo avuto un Maggio con precipitazioni record ed un'Estate che pare sarà interessata da diverse ondate di caldo africano.
Olivicoltura: indubbiamente il mese appena trascorso non ha fatto ben sperare per quanto riguarda il problema Bactrocera oleae (mosca dell'olivo) ma anche in questo caso molto dipenderà dall'andamento estivo. Potrebbero bastare due settimane particolarmente roventi infatti, per causare l'abbattimento delle popolazioni (moria delle larve nelle drupe) e mantenerle al di sotto della soglia di danno.
Situazione frumento: il grano è oramai nella fase critica del suo sviluppo, si presenta fenologicamente in leggero ritardo rispetto al periodo, tuttavia se Giugno si confermerà un mese caldo la raccolta potrà avvenire in linea con i normali canoni agronomici. Indubbiamente c'è il rischio che i mulini potranno riscontrare in fase di analisi contenuti di micotossine sopra la media, tuttavia la maggior paura per gli agricoltori deriva del fatto che le intense piogge potrebbero aver portato le piante a sviluppare un apparato radicale superficiale, non avendo necessità di andare a cercare risorse idriche in profondità, pertanto un periodo d'improvviso caldo intenso potrebbe portare a morie diffuse.
Giulio Petri
In Toscana e in tutto il Centro-Nord abbiamo avuto un inizio anno asciutto, seguito da una Primavera decisamente piovosa ed umida che con i mesi di Aprile e soprattutto di Maggio ha portato precipitazioni costanti e di alta intensità, tant'è che per la prima volta dopo 7 anni ci presentiamo alle porte dell'Estate con riserve idriche sopra la media e ghiacciai e nevai di tutta Europa che godono di ottima salute. Diciamo subito che le buone notizie probabilmente finiscono qui, perché da un punto di vista prettamente agricolo la stagione appena trascorsa ha già causato danni ed avrà probabilmente effetti negatvi sulle produzioni da qui a fine anno.
Viticoltura: le aziende viticole biologiche sono state costrette a far gravare in bilancio numerosi trattamenti in campo a causa del continuo dilavamento dei prodotti a base di rame, non riuscendo in molti casi a garantire una copertura costante per tutto il mese di Maggio, che è stato praticamente perfetto per la Peronospora. Per fare previsioni riguardo al vino che deriverà della vendemmia 2019 è ancora presto, in quanto la qualità dipenderà molto dall'andamento estivo, che condizionerà il contenuto zuccherino ed aromatico, nonché lo stato sanitario delle uve (attacchi Gn. Botrytis). E' altrettanto azzardato fare allarmismi, molti paragonano già la prossima vendemmia a quella del 2014, anno sinonimo di sotto-prezzo per quanto riguarda i Chianti e diversi Super-Tuscans; per adesso non ci sono affinità climatiche così significative tra le due annate, dal momento che mentre cinque anni fa ad una Primavera tiepida seguì un'Estate piovosa e decisamente sotto la media da un punto di vista termico, oggi abbiamo avuto un Maggio con precipitazioni record ed un'Estate che pare sarà interessata da diverse ondate di caldo africano.
Olivicoltura: indubbiamente il mese appena trascorso non ha fatto ben sperare per quanto riguarda il problema Bactrocera oleae (mosca dell'olivo) ma anche in questo caso molto dipenderà dall'andamento estivo. Potrebbero bastare due settimane particolarmente roventi infatti, per causare l'abbattimento delle popolazioni (moria delle larve nelle drupe) e mantenerle al di sotto della soglia di danno.
Situazione frumento: il grano è oramai nella fase critica del suo sviluppo, si presenta fenologicamente in leggero ritardo rispetto al periodo, tuttavia se Giugno si confermerà un mese caldo la raccolta potrà avvenire in linea con i normali canoni agronomici. Indubbiamente c'è il rischio che i mulini potranno riscontrare in fase di analisi contenuti di micotossine sopra la media, tuttavia la maggior paura per gli agricoltori deriva del fatto che le intense piogge potrebbero aver portato le piante a sviluppare un apparato radicale superficiale, non avendo necessità di andare a cercare risorse idriche in profondità, pertanto un periodo d'improvviso caldo intenso potrebbe portare a morie diffuse.
Giulio Petri
Vinitaly 2019 e la via della seta
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Settore: Viticoltura e enologia
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20/04/2019
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Nei giorni successivi al termine del Vinitaly, si sprecano le analisi da parte di giornalisti, sommelier, economisti e oggi anche YouTubers, quindi non avrebbe senso in queste poche righe presentare un sunto di dati e pareri. Parlare della fiera di Verona è scontato ma obbligatorio, visto che si tratta dell'evento promozionale attorno a cui ruota buona parte del marketing dell'enologia italiana ed internazionale, detto ciò, è abbastanza innegabile che si finisca per sentir dire sempre le stesse cose:
"calano le quantità ma cresce la qualità e quindi il valore dell'export!" - "puntare tutto sulla comunicazione dopo aver raggiunto la qualità" - "vince chi sa vendere il territorio con le sue caratteristiche" - "in aumento la superficie degli stand rispetto all'anno passato";
Questa situazione di stagnazione delle recensioni sul settore identifica perfettamente un settore sano e in crescita costante, tutt'altro che immobile sulle sue posizioni ma che ha da tempo imboccato la strada giusta. Si può dire che riuscire a vendere il vino, sebbene sia una tematica rilevante, sia l'ultimo dei problemi dell'agricoltura in questo momento, caratterizzata in altre produzioni meno virtuose da margini risicati (talvolta inesistenti) e investimenti che avvengono unicamente grazie ai contributi comunitari.
Voglio quindi porre l'attenzione unicamente su quella che potrebbe essere una vera sfida per l'enologia italiana, la "conquista" della Cina.
I cinesi sono stati presenti al Vinitaly come non mai prima d'ora, complici i recenti accordi del governo in merito alla così detta "Via della seta", un trattato composto da 29 accordi riguardanti il turismo, l'agroalimentare, la televisione e perfino l'esplorazione spaziale; il vino è presente all'accordo n. 15, denominato "gemellaggio vino-riso", fondamentalmente un patto d'intesa e protezione commerciale tra l'Associazione per il Patrimonio dei Paesaggi Vitivinicoli di Langhe-Roero e Monferrato e il Comitato di gestione per il Patrimonio dei 'Terrazzamenti del Riso di Honghe Hani' dello Yunnan. Di base non si tratta di una conquista immensa per l'enologia italiana, tuttavia l'obiettivo è quello di far breccia nel palato dei cinesi anche con un solo vino, che poi possa fare da apripista a tutta la produzione nazionale, proprio come fece anni or sono il Lambrusco negli U.S.A.
Il mercato cinese è uno dei pochissimi al mondo in cui aumentano di anno in anno le quantità di vino richieste, il consumo pro capite è ancora bassissimo ma in costante aumento e le potenzialità sono immense, data la popolazione presente in Cina. Fino ad oggi l'Italia non se l'è cavata benissimo coi cinesi, triplicando sì le esportazioni nel decennio 2009-2019 ma rimanendo stabilmente al quinto posto dopo Francia, Australia, Cile e Spagna nella classifica delle loro preferenze (o meglio di quelle del loro Governo). Ecco che stringere i rapporti tra gli stati potrebbe essere un'ottima opportunità per ribaltare la situazione, fermo restando ovviamente che la politica può arrivare fino a un certo punto; Sergio Mattarella ha regalato tre bottiglie di Rosso di Montalcino al Segretario Generale del Partito Comunista Cinese Xi Jinping, a confermare che l'impegno politico in questa direzione c'è, tuttavia, saranno i produttori a dover trovare la chiave di volta per convincere definitivamente i cinesi a comprare vino italiano.
Giulio Petri
"calano le quantità ma cresce la qualità e quindi il valore dell'export!" - "puntare tutto sulla comunicazione dopo aver raggiunto la qualità" - "vince chi sa vendere il territorio con le sue caratteristiche" - "in aumento la superficie degli stand rispetto all'anno passato";
Questa situazione di stagnazione delle recensioni sul settore identifica perfettamente un settore sano e in crescita costante, tutt'altro che immobile sulle sue posizioni ma che ha da tempo imboccato la strada giusta. Si può dire che riuscire a vendere il vino, sebbene sia una tematica rilevante, sia l'ultimo dei problemi dell'agricoltura in questo momento, caratterizzata in altre produzioni meno virtuose da margini risicati (talvolta inesistenti) e investimenti che avvengono unicamente grazie ai contributi comunitari.
Voglio quindi porre l'attenzione unicamente su quella che potrebbe essere una vera sfida per l'enologia italiana, la "conquista" della Cina.
I cinesi sono stati presenti al Vinitaly come non mai prima d'ora, complici i recenti accordi del governo in merito alla così detta "Via della seta", un trattato composto da 29 accordi riguardanti il turismo, l'agroalimentare, la televisione e perfino l'esplorazione spaziale; il vino è presente all'accordo n. 15, denominato "gemellaggio vino-riso", fondamentalmente un patto d'intesa e protezione commerciale tra l'Associazione per il Patrimonio dei Paesaggi Vitivinicoli di Langhe-Roero e Monferrato e il Comitato di gestione per il Patrimonio dei 'Terrazzamenti del Riso di Honghe Hani' dello Yunnan. Di base non si tratta di una conquista immensa per l'enologia italiana, tuttavia l'obiettivo è quello di far breccia nel palato dei cinesi anche con un solo vino, che poi possa fare da apripista a tutta la produzione nazionale, proprio come fece anni or sono il Lambrusco negli U.S.A.
Il mercato cinese è uno dei pochissimi al mondo in cui aumentano di anno in anno le quantità di vino richieste, il consumo pro capite è ancora bassissimo ma in costante aumento e le potenzialità sono immense, data la popolazione presente in Cina. Fino ad oggi l'Italia non se l'è cavata benissimo coi cinesi, triplicando sì le esportazioni nel decennio 2009-2019 ma rimanendo stabilmente al quinto posto dopo Francia, Australia, Cile e Spagna nella classifica delle loro preferenze (o meglio di quelle del loro Governo). Ecco che stringere i rapporti tra gli stati potrebbe essere un'ottima opportunità per ribaltare la situazione, fermo restando ovviamente che la politica può arrivare fino a un certo punto; Sergio Mattarella ha regalato tre bottiglie di Rosso di Montalcino al Segretario Generale del Partito Comunista Cinese Xi Jinping, a confermare che l'impegno politico in questa direzione c'è, tuttavia, saranno i produttori a dover trovare la chiave di volta per convincere definitivamente i cinesi a comprare vino italiano.
Giulio Petri
Breve analisi di mercato
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Settore: Viticoltura e enologia
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21/03/2019
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Questo mese anziché riportare news dal settore agro-alimentare propongo un brevissimo questionario del tutto anonimo, che sto usando per effettuare una ricerca in merito al valore economico e alla forza di penetrazione del mercato che hanno raggiunto i marchi delle aziende vitivinicole produttrici di Vernaccia di Sangimignano.
Il questionario si compone di sole 7 domande e mediamente il tempo impiegato per realizzarlo è di 57 secondi netti. I risultati ottenuti saranno in fase finale anche oggetto di pubblicazione su questo sito e su altri.
Potete compilare il questionario cliccando sul pulsante qua sotto linkato alla pagina di google moduli:
Il questionario si compone di sole 7 domande e mediamente il tempo impiegato per realizzarlo è di 57 secondi netti. I risultati ottenuti saranno in fase finale anche oggetto di pubblicazione su questo sito e su altri.
Potete compilare il questionario cliccando sul pulsante qua sotto linkato alla pagina di google moduli:
Giulio Petri
Rivolta dei pastori sardi: focus sulla problematica economica.
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Settore: Zootecnico
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28/02/2019
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Se ne parla in televisione ormai da qualche settimana ed ogni giorno che passa sembra assumere caratteri sempre più drammatici, la rivolta dei pastori sardi ha forse raggiunto il proprio apice e seppure non sia ancora riuscita a risolvere i problemi per i quali è sorta, è sicuramente arrivata a smuovere l' opinione pubblica. Da inizio Febbraio ci sono stati oltre ottomila post su Instagram con l'hashtag #iostoconipastorisardi e circa centocinquantamila interazioni su facebook inerenti all'argomento.
Lo scopo di questo articolo non è quello di dare opinioni etiche e morali che risulterebbero peraltro del tutto soggettive ma di porre una lente d'ingrandimento sui numeri, asettici ed obiettivi.
I dati ISMEA ci dicono che il prezzo del latte ovino ha avuto un crollo verticale da Novembre 2018 in poi, passando in circa 3 mesi da 0.80 a 0.60 €/L IVA inclusa, un calo molto brusco (- 25 %) inserito in un periodo già di per sé non molto roseo, visto che nel corso del 2017 e 2016 il prezzo medio era stato di circa 0.87 €/L.
Nel settore del lattiero - caseario i sali-scendi di prezzo legati ai costi di trasformazione delle multinazionali ci sono sempre stati, come si sa tuttavia il motivo per il quale solo adesso è scoppiata una vera e propria rivolta è che il prezzo d'acquisto del latte alla stalla è sceso al di sotto del costo di produzione. Su questo punto è meritevole soffermare un attimo l'attenzione e ragionare, perché bisogna capire cosa si intenda davvero per costo di produzione; consultando di nuovo i dati ufficiali si scopre che in Sardegna il totale dei costi espliciti per produrre un litro di latte ovino ammonta di media a ben 0.70 €/L IVA esclusa, se storniamo l'imposta sul valore aggiunto dal prezzo pagato oggi agli allevatori (0.60€/L) otteniamo 0.56 €/L, quindi abbiamo un saldo negativo di 14 centesimi. Il motivo per cui ho evidenziato la parola espliciti è che deve essere chiaro che questi 70 centesimi di costo comprendono solo le voci di spesa che hanno effettivamente comportato una transazione di denaro effettiva, tralasciando i costi impliciti, ovvero quei costi che esistono sebbene non comportino un reale esborso economico. Mi spiego meglio, ogni imprenditore apporta alcuni fattori della produzione autonomamente, ad esempio lavorando egli stesso nella sua azienda o semplicemente investendo denaro proprio ed incarnando come spesso accade anche la figura del fornitore di capitale per l'attività, i costi impliciti rappresentano la mancata retribuzione per quei fattori apportati dall'imprenditore, il quale investe tempo ed energie che potrebbe utilizzare in altra maniera, ad esempio lavorando come operaio assunto in un'altra azienda. Nelle analisi di contabilità analitica si fa molta attenzione a considerare anche i costi impliciti, i quali vengono quantificati in termini costo opportunità (quanto avrebbe potuto rendere quella risorsa impiegata diversamente?), si evidenzia quindi un'apposita distinzione tra reddito netto d'impresa, dato dalla differenza tra fatturato e costi espliciti e tornaconto imprenditoriale, dato dalla differenza tra fatturato e costi totali (espliciti + impliciti). Le piccole aziende ed in particolare i coltivatori diretti sono le forme d'impresa che hanno le maggiori capacità di superare i periodi difficili, proprio perché possono sotto-remunerare i fattori impliciti senza mostrarsi insolventi verso terzi.
I pastori sardi non sono solo imprenditori ma anche lavoratori, impiegandosi attivamente nella propria azienda per un quantitativo di ore tale che nessun sindacato permetterebbe assunzioni a certe condizioni. E' bene essere consapevoli che anche negli anni passati ai pastori sono stati sempre pagati prezzi in grado di coprire solo i costi espliciti, quindi hanno potuto percepire redditi ma mai del tutto proporzionali alle fatiche impiegate, oggi invece perdono 14 Euro di tasca propria ogni volta che vendono cento litri.
E' inutile spiegare che serve una forzatura esterna per sbloccare la situazione, il valore del pecorino, che viene venduto come minimo a 13 €/Kg, sta tutto alla fine della filiera, nella fase di trasformazione e ancor di più in quella di commercializzazione; non necessariamente questo vuol dire che ci sono grossisti che fanno grandi margini con operazioni di ridistribuzione dei prodotti ma è innegabile che sia presente un tarlo nella struttura della filiera.
Giulio Petri
Lo scopo di questo articolo non è quello di dare opinioni etiche e morali che risulterebbero peraltro del tutto soggettive ma di porre una lente d'ingrandimento sui numeri, asettici ed obiettivi.
I dati ISMEA ci dicono che il prezzo del latte ovino ha avuto un crollo verticale da Novembre 2018 in poi, passando in circa 3 mesi da 0.80 a 0.60 €/L IVA inclusa, un calo molto brusco (- 25 %) inserito in un periodo già di per sé non molto roseo, visto che nel corso del 2017 e 2016 il prezzo medio era stato di circa 0.87 €/L.
Nel settore del lattiero - caseario i sali-scendi di prezzo legati ai costi di trasformazione delle multinazionali ci sono sempre stati, come si sa tuttavia il motivo per il quale solo adesso è scoppiata una vera e propria rivolta è che il prezzo d'acquisto del latte alla stalla è sceso al di sotto del costo di produzione. Su questo punto è meritevole soffermare un attimo l'attenzione e ragionare, perché bisogna capire cosa si intenda davvero per costo di produzione; consultando di nuovo i dati ufficiali si scopre che in Sardegna il totale dei costi espliciti per produrre un litro di latte ovino ammonta di media a ben 0.70 €/L IVA esclusa, se storniamo l'imposta sul valore aggiunto dal prezzo pagato oggi agli allevatori (0.60€/L) otteniamo 0.56 €/L, quindi abbiamo un saldo negativo di 14 centesimi. Il motivo per cui ho evidenziato la parola espliciti è che deve essere chiaro che questi 70 centesimi di costo comprendono solo le voci di spesa che hanno effettivamente comportato una transazione di denaro effettiva, tralasciando i costi impliciti, ovvero quei costi che esistono sebbene non comportino un reale esborso economico. Mi spiego meglio, ogni imprenditore apporta alcuni fattori della produzione autonomamente, ad esempio lavorando egli stesso nella sua azienda o semplicemente investendo denaro proprio ed incarnando come spesso accade anche la figura del fornitore di capitale per l'attività, i costi impliciti rappresentano la mancata retribuzione per quei fattori apportati dall'imprenditore, il quale investe tempo ed energie che potrebbe utilizzare in altra maniera, ad esempio lavorando come operaio assunto in un'altra azienda. Nelle analisi di contabilità analitica si fa molta attenzione a considerare anche i costi impliciti, i quali vengono quantificati in termini costo opportunità (quanto avrebbe potuto rendere quella risorsa impiegata diversamente?), si evidenzia quindi un'apposita distinzione tra reddito netto d'impresa, dato dalla differenza tra fatturato e costi espliciti e tornaconto imprenditoriale, dato dalla differenza tra fatturato e costi totali (espliciti + impliciti). Le piccole aziende ed in particolare i coltivatori diretti sono le forme d'impresa che hanno le maggiori capacità di superare i periodi difficili, proprio perché possono sotto-remunerare i fattori impliciti senza mostrarsi insolventi verso terzi.
I pastori sardi non sono solo imprenditori ma anche lavoratori, impiegandosi attivamente nella propria azienda per un quantitativo di ore tale che nessun sindacato permetterebbe assunzioni a certe condizioni. E' bene essere consapevoli che anche negli anni passati ai pastori sono stati sempre pagati prezzi in grado di coprire solo i costi espliciti, quindi hanno potuto percepire redditi ma mai del tutto proporzionali alle fatiche impiegate, oggi invece perdono 14 Euro di tasca propria ogni volta che vendono cento litri.
E' inutile spiegare che serve una forzatura esterna per sbloccare la situazione, il valore del pecorino, che viene venduto come minimo a 13 €/Kg, sta tutto alla fine della filiera, nella fase di trasformazione e ancor di più in quella di commercializzazione; non necessariamente questo vuol dire che ci sono grossisti che fanno grandi margini con operazioni di ridistribuzione dei prodotti ma è innegabile che sia presente un tarlo nella struttura della filiera.
Giulio Petri
News: La coltivazione delle officinali in Italia.
Caratteristiche di un settore
Caratteristiche di un settore
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Settore_ Piante aromatiche / officinali.
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29/01/2019
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Coltivazione di Elcriso nel Chianti.
Il dato oggettivo è che negli ultimi 10 anni in Italia la superficie agricola dedicata alle piante aromatiche ed officinali è aumentata in modo costante ed esponenziale, grazie per lo più al recupero di terreni incolti ma anche al cambio di ordinamento di molti seminativi. Le specie più coltivate nel nostro paese sono Lavanda, Lavandino, Camomilla, Elicriso, Salvia, Menta, Limnanthes e Lippia ma se ne potrebbero citare altre decine, tanto è vasta la biodiversità in questo settore.
Tuttavia la domanda che ancora in molti si fanno è "ma cosa ci facciamo con le officinali ?"
In linea di massima estraiamo l'olio essenziale che contengono tramite processi di essiccazione/distillazione, questo viene impiegato per nella produzione di integratori naturali, prodotti omeopatici e creme per la cosmesi. La sensibilità della popolazione occidentale nei confronti dei prodotti naturali è in crescita, tant'è che attualmente i ricercatoti delle case farmaceutiche si stanno adoperando per dimostrare la validità scientifica di molti dei così detti "rimedi delle nonne", antiche custodi del sapere su erbe, essenze e spezie. Non deve sorprendere in questo contesto che oltre il 70% delle aziende che coltivano officinali siano anche biologiche, quegli imprenditori che oggi vantano una realtà strutturata in questo settore, sono partiti 10-20 anni fa con dei principi etici e morali ben precisi ed hanno fatto tanta sperimentazione, essendo tutt'ora scarse le certezze agronomiche nei confronti di questo tipo di piante.
Quello che ci interessa è capire se oggi un investimento nelle officinali può essere remunerativo. Premesso che è impossibile dare una risposta assoluta a questa domanda e che è sempre necessario valutare caso per caso, possiamo provare a fare una serie di considerazioni.
Innanzitutto si deve valutare fino a che livello della filiera si vuole arrivare, si possono solo coltivare le piante per venderle post-raccolta a chi si occupa di lavorarle, estrarre personalmente l'olio essenziale da esse, o addirittura arrivare a confezionare il prodotto finito per venderlo direttamente al consumatore. Alternativamente si potrebbe pensare di fare lavorare le piante esternamente all'azienda per poi riprendere il prodotto finito ma ancora forse il settore non è abbastanza strutturato per questo tipo di soluzione. Oggi la maggior parte delle aziende, anche di modeste dimensioni, provvede a dotarsi di un impianto per l'essiccazione e l'estrazione dell'olio, poiché è difficile trovare margini soddisfacenti sulla vendita della biomassa fresca.
Un po' di dati indicativi:
La spesa da sostenere per la realizzazione di un annesso in struttura leggera, dotato di alambicco da 1.500 L di capienza e caldaia ad esso commisurata, si aggira intorno ai 90.000 €. I costi d'impianto di un ettaro di officinali sono medio-alti, non distanti da quelli per realizzare un nuovo vigneto, si oscilla a seconda di specie e sesto d'impianto tra i 20.000 e i 35.000 €, con cicli colturali che possono durare da 1 a 10 anni. I costi di esercizio maggiori sono costituiti dalla mano d'opera, le ore di lavoro ad ettaro sono molte e richiedono spesso operatori specializzati, motivo per cui in questo settore i coltivatori diretti riescono a contenere particolarmente i costi espliciti rispetto ai capitalisti, impiegando la forza lavoro famigliare in azienda. Si deve inoltre predisporre un sistema d'irrigazione, necessario per le prime fasi di vita delle piante e nei mesi estivi. Parlando di rese, 1 Ha di Elicriso, considerato una delle officinali più remunerative, produce in media 8-12 Tonnellate l'ettaro di biomassa fresca, traducibili in 2 - 4 T di prodotto essiccato. Il secco dà una resa in olio dello 0.05 - 0.5 %, quindi si hanno in media 10 L/Ha di prodotto finito, che viene venduto a 1.000 - 1.200 €/L. Quando arriva al consumatore il prodotto ha subito un ulteriore rincaro pari a 5-10 volte il suo valore, essendo venduto in contenitori di 5 ml a circa 60 - 70 €. Valutando che per confezionare l'olio è sufficiente realizzare alpiù un apposito locale di dimensioni ridotte, dotato solo di un' invasettatrice ed un'etichettatrice, completare la filiera è probabilmente la scelta più convinventee, tuttavia ancora in pochi ci riescono a causa delle difficoltà che si incontrano nel crearsi una clientela costante.
Esiste una grande differenza tra gli oli essenziali e gli altri prodotti agricoli, ed è che i primi non sono beni di prima necessità, con tutti i pro ed i contro che derivano da questo fatto. L'agricoltura è un settore rigido in cui si è abituati a non avere grosse variazioni nella domanda, perché le quantità di alimenti richieste dal mercato sono piuttosto stabili, ebbene in questo caso la regola decade, nessuno ha bisogno dei prodotti delle officinali per sfamarsi, nella teoria economica questi prodotti potrebbero essere definiti come "beni di lusso" (le virgolette sono d'obbligo perché comunque non si parla di una Maserati). Lo svantaggio di questa condizione si manifesta quando il piccolo produttore, che non ha grandi sbocchi sul mercato, cerca di vendere ad un gruppo generico di potenziali clienti, dei quali solo una piccola percentuale sarà interessata alla sua offerta. In questo settore per vendere al consumatore è necessario orientare l'offerta verso un gruppo specifico di individui, che per un motivo o per un altro si sa che sono più propensi ad essere attratti dal nostro prodotto. Il vantaggio di questa condizione sta nei più alti prezzi di mercato che dei beni alimentari non potrebbero mai riuscire a spuntare in una libera compravendita. Un bene agricolo che ci aiuta a capire questa dinamica è il vino, prodotto alimentare che sta diventando sempre più un bene di lusso, con consumo procapite in inarrestabile calo da mezzo secolo e spesa procapite in costante aumento; è stato possibile aumentare i prezzi del vino solo quando c'è stato qualcuno disposto a pagare di più per soddisfare bisogni non alimentari ma piuttosto di tipo edonistico, estetici e sociali.
Gli imprenditori si devono mettere nell'ottica che ciò che ottengono dalla lavorazioni delle officinali è un prodotto assolutamente non alimentare e per questo legato a logiche di mercato diverse rispetto alla stragrande maggioranza dei beni derivanti dall'agricoltura, la domanda è molto più soggetta ad oscillazioni in funzione di eventi particolari e delle mode, è maggiore il rischio così come anche la possibilità di guadagno se si sfruttano i giusti canali.
Giulio Petri
Tuttavia la domanda che ancora in molti si fanno è "ma cosa ci facciamo con le officinali ?"
In linea di massima estraiamo l'olio essenziale che contengono tramite processi di essiccazione/distillazione, questo viene impiegato per nella produzione di integratori naturali, prodotti omeopatici e creme per la cosmesi. La sensibilità della popolazione occidentale nei confronti dei prodotti naturali è in crescita, tant'è che attualmente i ricercatoti delle case farmaceutiche si stanno adoperando per dimostrare la validità scientifica di molti dei così detti "rimedi delle nonne", antiche custodi del sapere su erbe, essenze e spezie. Non deve sorprendere in questo contesto che oltre il 70% delle aziende che coltivano officinali siano anche biologiche, quegli imprenditori che oggi vantano una realtà strutturata in questo settore, sono partiti 10-20 anni fa con dei principi etici e morali ben precisi ed hanno fatto tanta sperimentazione, essendo tutt'ora scarse le certezze agronomiche nei confronti di questo tipo di piante.
Quello che ci interessa è capire se oggi un investimento nelle officinali può essere remunerativo. Premesso che è impossibile dare una risposta assoluta a questa domanda e che è sempre necessario valutare caso per caso, possiamo provare a fare una serie di considerazioni.
Innanzitutto si deve valutare fino a che livello della filiera si vuole arrivare, si possono solo coltivare le piante per venderle post-raccolta a chi si occupa di lavorarle, estrarre personalmente l'olio essenziale da esse, o addirittura arrivare a confezionare il prodotto finito per venderlo direttamente al consumatore. Alternativamente si potrebbe pensare di fare lavorare le piante esternamente all'azienda per poi riprendere il prodotto finito ma ancora forse il settore non è abbastanza strutturato per questo tipo di soluzione. Oggi la maggior parte delle aziende, anche di modeste dimensioni, provvede a dotarsi di un impianto per l'essiccazione e l'estrazione dell'olio, poiché è difficile trovare margini soddisfacenti sulla vendita della biomassa fresca.
Un po' di dati indicativi:
La spesa da sostenere per la realizzazione di un annesso in struttura leggera, dotato di alambicco da 1.500 L di capienza e caldaia ad esso commisurata, si aggira intorno ai 90.000 €. I costi d'impianto di un ettaro di officinali sono medio-alti, non distanti da quelli per realizzare un nuovo vigneto, si oscilla a seconda di specie e sesto d'impianto tra i 20.000 e i 35.000 €, con cicli colturali che possono durare da 1 a 10 anni. I costi di esercizio maggiori sono costituiti dalla mano d'opera, le ore di lavoro ad ettaro sono molte e richiedono spesso operatori specializzati, motivo per cui in questo settore i coltivatori diretti riescono a contenere particolarmente i costi espliciti rispetto ai capitalisti, impiegando la forza lavoro famigliare in azienda. Si deve inoltre predisporre un sistema d'irrigazione, necessario per le prime fasi di vita delle piante e nei mesi estivi. Parlando di rese, 1 Ha di Elicriso, considerato una delle officinali più remunerative, produce in media 8-12 Tonnellate l'ettaro di biomassa fresca, traducibili in 2 - 4 T di prodotto essiccato. Il secco dà una resa in olio dello 0.05 - 0.5 %, quindi si hanno in media 10 L/Ha di prodotto finito, che viene venduto a 1.000 - 1.200 €/L. Quando arriva al consumatore il prodotto ha subito un ulteriore rincaro pari a 5-10 volte il suo valore, essendo venduto in contenitori di 5 ml a circa 60 - 70 €. Valutando che per confezionare l'olio è sufficiente realizzare alpiù un apposito locale di dimensioni ridotte, dotato solo di un' invasettatrice ed un'etichettatrice, completare la filiera è probabilmente la scelta più convinventee, tuttavia ancora in pochi ci riescono a causa delle difficoltà che si incontrano nel crearsi una clientela costante.
Esiste una grande differenza tra gli oli essenziali e gli altri prodotti agricoli, ed è che i primi non sono beni di prima necessità, con tutti i pro ed i contro che derivano da questo fatto. L'agricoltura è un settore rigido in cui si è abituati a non avere grosse variazioni nella domanda, perché le quantità di alimenti richieste dal mercato sono piuttosto stabili, ebbene in questo caso la regola decade, nessuno ha bisogno dei prodotti delle officinali per sfamarsi, nella teoria economica questi prodotti potrebbero essere definiti come "beni di lusso" (le virgolette sono d'obbligo perché comunque non si parla di una Maserati). Lo svantaggio di questa condizione si manifesta quando il piccolo produttore, che non ha grandi sbocchi sul mercato, cerca di vendere ad un gruppo generico di potenziali clienti, dei quali solo una piccola percentuale sarà interessata alla sua offerta. In questo settore per vendere al consumatore è necessario orientare l'offerta verso un gruppo specifico di individui, che per un motivo o per un altro si sa che sono più propensi ad essere attratti dal nostro prodotto. Il vantaggio di questa condizione sta nei più alti prezzi di mercato che dei beni alimentari non potrebbero mai riuscire a spuntare in una libera compravendita. Un bene agricolo che ci aiuta a capire questa dinamica è il vino, prodotto alimentare che sta diventando sempre più un bene di lusso, con consumo procapite in inarrestabile calo da mezzo secolo e spesa procapite in costante aumento; è stato possibile aumentare i prezzi del vino solo quando c'è stato qualcuno disposto a pagare di più per soddisfare bisogni non alimentari ma piuttosto di tipo edonistico, estetici e sociali.
Gli imprenditori si devono mettere nell'ottica che ciò che ottengono dalla lavorazioni delle officinali è un prodotto assolutamente non alimentare e per questo legato a logiche di mercato diverse rispetto alla stragrande maggioranza dei beni derivanti dall'agricoltura, la domanda è molto più soggetta ad oscillazioni in funzione di eventi particolari e delle mode, è maggiore il rischio così come anche la possibilità di guadagno se si sfruttano i giusti canali.
Giulio Petri
27/08/2018_ PUBBLICAZIONE "Breve analisi politico economica delle Cantine Sociali e nuovo confronto con i privati".
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